Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. III, 1947 – BEIC 1728689.djvu/401


stile 395

può esser tale, senza cessar d’esser tragica. Quindi niuna similitudine mai vi s’incontra, se non per via di brevissima immagine; pochissime narrazioni, e non lunghe, e non mai intromesse lá dove necessarie non siano. Quindi pochissime sentenze, e non dette mai dall’autore; nessuna tumidezza quanto ai pensieri, e pochissima quanto all’espressioni. Alle volte (ma di rado) vi si incontreranno alcune parole nuove, come madrignale; e massimamente dei verbi; per esempio distemere, preaccennare, ravvedere in senso attivo, e altri simili: ma, in tutti si potrá osservare, che l’amore della brevitá assai piú che l’amor della novitá li creava. E in somma, rendendo l’autore conto a se stesso di ogni pensiero, parola, e sillaba componente queste tragedie, non ha approvato né rigettato mai nulla sotto altre regole, che quelle della semplice natura e dell’indole della lingua; cioè, esaminando se quel tal personaggio in quella data circostanza potea, e dovea pensare tal cosa, ed in quella tal guisa colorarla.

Quanto alla maniera di architettare il verso, si potrá con qualche ragione tacciare l’autore di volerlo far troppo pieno; e di avere ad un tal fine abusato assai delle particelle riempitive, pur, ne, , io, e principalmente, or; che questa, non v’è pagina in cui non s’incontri, e piú d’una volta; e massime nelle undici tragedie, che precedono le ultime cinque. Se non temessi di riuscir tedioso, ne arrecherei parecchi esempj, e assegnerei le ragioni per cui ho errato, appunto quando mi estimava far meglio: ma, oltre la noja inseparabile da queste puerilitá, le giudico anche inutili affatto per chiunque non sa cosa è verso; e chi, per esperienza dell’arte, da se lo capisce, bastantemente l’osserverá da se stesso. Mi lusingo bensí, che chiunque intende dell’arte vedrá codeste particelle non esservisi mai intromesse a caso; e che quasi sempre elle operano alcuna cosa nel verso, o per l’energia, o per l’armonia, o per la gravitá, o per la varietá, o (piú che ogni altro) per la sostenutezza e impedimento di trivialitá e di cantilena. Con tutto ciò elle vi sono forse biasimevoli, come troppe.

Questo stile, esaminato in massa, mi pare avere un certo aspetto nuovo, e proprio suo. Pochissime, per non dire nessuna, delle italiane tragedie vi sono finora, di cui si ammiri con giustezza di sana critica lo stile. E benché in molti squarci meritamente venga lodato lo stile del Maffei nella Merope, chiunque vorrá paragonare qualsivoglia squarcio di queste a qualsivoglia squarcio di quella, si convincerá facilmente da se, (per poco ch’egli