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386 parere dell’autore


Nel Filippo, Isabella dá principio alla tragedia con un soliloquio, in cui passionatamente, e brevissimamente accenna il suo amore per Carlo: ma se tal cosa non avesse ella detto fra se stessa, a chi avrebbe ella ragionevolmente osato affidarla? a una sua cameriera: ma un tale arcano essa non avrebbe potuto svelarlo, volendolo, se non se lungamente ed a stento, atteso il contrasto tragico vero, che nel suo core si trova tra il modesto dovere e l’amore. Ora, io domando se questo contrasto non riesca di molto maggiore effetto accennandolo brevemente da prima infra se stessa colla semplice ma passionata esposizione del fatto, e sviluppandolo ella pienamente poscia nella scena seguente con l’oggetto amato, che non narrandolo a quella sua fida cameriera, la quale per quanto si sarebbe affaticata nel mostrar di provarne grandissima commozione, non ne potea pur mai né provare né far provare agli spettatori la millesima parte di quella che sente e quindi fa sentire ad altrui l’appassionatissimo Carlo. Col semplice primo soliloquio, Isabella ha lasciato intendere agli spettatori, ch’ella ha in core mal grado suo quella terribilissima passione; ella gli ha prevenuti in favor suo, e in favore di Carlo, e in disfavor di Filippo; ella ha lasciato intendere chi ella sia, dove ella sia, con cui abbia che fare, e ciò ch’ella debba temere o sperare. Onde, dopo i suoi ventiquattro versi, che piú non sono, lo spettatore che avrá prestato attento orecchio, viene a sapere tutto ciò che è necessario a sapersi, e salta, direi cosí, a piè pari in mezzo all’azione, che al vigesimoquinto verso comincia: il che alle volle in cert’altre tragedie non viene ad esser noto neppure al finir del prim’atto.

E mi tocca quí di osservare per incidenza, che la esposizione d’una tragedia non riuscirá mai difficile a quell’autore che avrá concepito una semplice azione, e che spogliata di tutto l’inutile, l’anderá sempre spingendo ad un solo fine per la piú naturale e spedita via.

Cosí nell’Antigone, se Argía si appresenta sola in teatro, ella ne assegna il perché; ed è che, avendola accompagnata, indi smarrita, il suo fedele Menéte, non potendosi ella staccare dalla proposta impresa, si è ritrovata sola al giungere in Tebe. In tal modo mi parrebbe, che la decenza del costume suo non ne venga punto offesa, e che lo spettatore giá maggiormente si appassioni per lei, appunto perché la vede sola e straniera in una reggia nemica. In questo soliloquio d’Argía, lo spettatore vien pure a sapere da un