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il vero per lo miglioramento dell’arte, dee pure, ancor che lodare non voglia, assegnare le ragioni, il fine, ed i mezzi, con cui una opera qualunque è stata condotta.

Del carattere di Mirra ho abbastanza parlato fin quí, senza maggiormente individuarlo. Nel quart’atto c’è un punto, in cui strascinata dalla sua furiosa passione, e pienamente fuor di se stessa, Mirra si induce ad oltraggiare la propria madre. Io sento benissimo ch’ella troppo parrá, e troppo è rea in quel punto: ma, data una passione in un ente tragico, bisogna pure, per quanto rattenuta ella sia, che alle volte vada scoppiando; che se nol facesse, e debole e fredda sarebbe, e non tragica: e quanto piú è raro questo scoppio, tanto maggiore dev’essere, e tanto piú riuscirne terribile l’effetto. Da prima rimasi lungamente in dubbio, se io lascierei questo ferocissimo trasporto in bocca di Mirra; ma, osservatolo poi sotto tutti gli aspetti, e convinto in me stesso, ch’egli è naturalissimo in lei (benché contro a natura sia, o lo paja) ve l’ho lasciato; e mi lusingo che sia nel vero; e che perciò potrá riuscire di sommo effetto quanto all’orror tragico, e molto accrescere ad un tempo la pubblica compassione ed affetto per Mirra. Ognuno, spero, vedrá e sentirá in quel punto, che una forza piú possente di lei parla allora per bocca di Mirra; e che non è la figlia che parli alla madre, ma l’infelice disperatissima amante all’amata e preferita rivale. Con tutto ciò io forse avrò errato, al parere di molti, nell’inserirvi un tal tratto. A me basta di non avere offeso né il vero né il verisimile, nello sviluppare (discretamente però) questo nascosissimo, ma naturalissimo e terribile tasto del cuore umano.

Ciniro, è un perfetto padre, e un perfettissimo re. L’autore vi si è compiaciuto a dipingere in lui, o a provar di dipingere, un re buono ideale, ma verisimile; quale vi potrebbe pur essere, e quale non v’è pur quasi mai.

Peréo, promette altresí di riuscire un ottimo principe. Ho cercato di appassionarlo quanto ho saputo; non so se mi sia venuto fatto. Io diffido assai di me stesso; e massimamente nella creazione di certi personaggi, che non debbono esser altro che teneri d’amore. Credo perciò, che tra i difetti di Mirra l’uno ne sará forse costui; ma non lo posso asserire per convinzione; lo accenno, perché ne temo.

Cecri, a me pare una ottima madre; e cosí ella, come il marito, per gli affetti domestici mi pajono piuttosto degni d’essere

 V. Alfieri, Tragedie - III. 24