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Poche tragedie prestano, a parer mio, alla sublimitá del parlare quanto questa, ancorché i suoi eroi non siano mossi da alcuna passione del piú sublime genere: ma la sola sublimitá, ove non riunisca in se una dose pari di affetto, piace assai piú nella storia che non sul teatro, dove l’abbondanza di quella non compensa mai la mancanza o la scarsitá di questa.

Nel quint’atto, i mezzi impiegati per trarre Massinissa ad uccidere Sofonisba, non mi soddisfano; ma, ancorché in varie maniere li mutassi e rimutassi, non ho saputo far meglio.

Benché nello scriver tragedie io mi compiaccia assai piú dei temi giá trattati da altri, e quindi a ognuno piú noti; nondimeno, per tentare le proprie forze in ogni genere, siccome ho voluto in Rosmunda inventare interamente la favola, cosí in Mirra ho voluto sceglierne una, la quale, ancor che notissima, non fosse pure mai stata da altri trattata, per quanto io ne avessi notizia. Prima di scrivere questa tragedia io giá benissimo sapea, doversi dire dai piú, (il che a dirsi è facilissimo, e forse assai piú che non a provarlo) che un amore incestuoso, orribile, e contro natura, dee riuscire immorale e non sopportabile in palco. E certo, se Mirra facesse all’amore col padre, e cercasse, come Fedra fa col figliastro, di trarlo ad amarla, Mirra farebbe nausea e raccapriccio: ma, quanta sia la modestia, l’innocenza di cuore, e la forza di carattere in questa Mirra, ciascuno potrá giudicarne per se stesso, vedendola. Quindi, se lo spettatore vorrá pur concedere alquanto a quella imperiosa forza del Fato, a cui concedeano pur tanto gli antichi, io spero ch’egli perverrá a compatire, amare, ed appassionarsi non poco per Mirra. Avendone io letto la favola in Ovidio, dove Mirra introdotta dal poeta a parlare narra il suo orribile amore alla propria nutrice, la vivissima descrizione ch’ella compassionevolmente le fa de’ suoi feroci martirj, mi ha fatto caldissimamente piangere. Ciò solo m’indusse a credere, che una tale passione, modificata e adattata alla scena, e racchiusa nei confini dei nostri costumi, potrebbe negli spettatori produrre l’effetto medesimo che in me ed in altri avrá prodotto quella patetica descrizione di Ovidio. Non credo, finora, di essermi ingannato su questa tragedia, perché ogniqualvolta io, non me ne ricordando