Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. III, 1947 – BEIC 1728689.djvu/354

348 parere dell’autore

osò indagare e molto meno narrare un tal fatto. Ma è certo ancor piú, che se cosí non seguiva, visti i costumi della scellerata schiatta dei Medici, questo fatto potea benissimo in tutte le sue parti seguire cosí.

Prima di parlare dei personaggi visibili, mi accorre in questa tragedia di brevemente toccare i due personaggi invisibili, ma molto operanti, dall’autore introdotti in questa tragedia, e da cui credo che molto piú utile ne cavasse col non mostrargli in teatro, che se mostrati gli avesse. E sono, Salviati, ch’è il perno della ferocitá di Cosimo; e Giulia, oggetto principalissimo del terribile contrasto dei diversi affetti che si vanno sviluppando in Garzía. Se questi due fossero introdotti in palco, verrebbero a duplicare e ad allungare molto l’azione; e niuna cosa potrebbero aggiungervi, che gli altri assai piú brevemente, e con forse maggiore effetto, giá non la dicano in vece loro. Questo metodo di valersi di personaggi non visti, e con tutto ciò operanti, credo che (servendosene con sobrietá, e senza accattarli, soltanto allor che il soggetto lo vuole) potrá riuscire di qualche effetto in teatro.

Cosimo è grandemente crudele, assoluto, e veemente; ma con tutto ciò non è grande: e anche mi pare, che quest’ultima tinta della impetuositá di carattere non sia in lui abbastanza ben toccata, e progredita nel corso della tragedia, per trarre poi gradatamente con verisimiglianza questo orribile padre ad un tanto eccesso, di trucidare il proprio figlio quasi fra le braccia della madre.

Diego, eroe possibile in un figlio di un moderno Duca di Toscana, non ha in se stesso grandezza eccedente il suo stato; ma ne ha abbastanza, mi pare, per rendersi ben affetto l’uditorio, e lasciar di se una certa maraviglia non del tutto spogliata di pietá.

Don Garzía, protagonista, ricade nel difetto del Raimondo della precedente tragedia; e per essere anch’egli di troppo alti pensieri, e impossibili quasi nello stato suo, diventa un personaggio poco verisimile, ancorché non falso. Pure, quale altra tinta se gli sarebbe potuta mai dare, per far nascere fra lui e Diego una rissa che tragica fosse, e che con verosimiglianza menasse a tanta catastrofe? Ecco prova manifestissima, che un autore che cerchi d’esser sublime davvero, non dee impacciarsi mai con gente che sublime non poteva pur essere.

Pietro è veramente l’eroe, quale quella iniqua prosapia li prestava: ma, per essere egli e vero, e verisimile, e tragico, ne riesce