Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. III, 1947 – BEIC 1728689.djvu/351


la congiura dei pazzi 345

riesce cosa niente tragediabile, che l’un nemico faccia all’altro quanto piú danno egli può, ancor ch’ella sia cosa tragichissima; poiché dal solo contrasto tra le diverse passioni, o di legami, o di sangue, viene a nascere quell’ondeggiamento d’affetti suscettibile veramente di azion teatrale, fra l’odio che vorrebbe spento il comune oppressore, e quell’altro qualunque affetto che lo vorrebbe pur salvo.

In questa tragedia ho cercato di scemare in parte questo inerente difetto, facendo il principal congiurato, Raimondo, cognato dei due tiranni, e amantissimo della moglie, la quale lo è pure moltissimo di lui, benché ami anch’ella i fratelli, a cui non è ella neppure discara. Questo urto di vicendevoli e contrarie passioni va prestando all’azione dei momenti teneri e caldi quá e lá, per quanto mi pare: ma con tutto ciò non dico io, che si venga a compor di Raimondo un tutto che sia veramente tragico; perché giá si vede dalle sue prime parole, che le passioni d’odio privato e pubblico, di vendetta, e di libertá, sono troppe, perché il cognatismo possa in nulla riuscire d’inciampo alla rabbia dei Pazzi. Ciò posto, io forse in piú matura etá non avrei tornato a scegliere un tal soggetto, a cui se oltre il difetto accennato, vi si aggiunge quello di essere un modernissimo fatto; succeduto in un paese picciolissimo; fatto, da cui non ne risultavano che debolissime, oscure, e passeggere conseguenze; egli viene sotto ogni aspetto a mostrarsi poco degno del coturno. Gran fatica, grand’ostinazione, arte moltissima, e calore non poco è stato adoprato nel condurre questa tragedia: eppure, tanta è l’influenza del soggetto, che con molti piú sforzi fattivi in ogni genere, ella riesce tuttavia tragedia, per se stessa, minore di quasi tutte le fin quí accennate.

Raimondo, è un carattere anzi possibile che verisimile. Tale è la sorte d’un Bruto toscano, che per quanto venga infiammato, innalzato, e sublimato da chi lo maneggia, la grandezza in lui parrá pur sempre piú ideale che vera; e la metá di quello ch’ei dice, posta in bocca del Bruto romano, verrá ad ottener doppio effetto. Tra i soggetti o grandiosi per se stessi, o fatti tali da una rimotissima antichitá, e quelli che tali non sono, corre non molto minor differenza che tra i soggetti del dramma e quelli della tragedia. In questo Raimondo, mi pare che oltre la sublimitá, riprensibile forse come gigantesca, vi sia anche un calor d’animo d’una tal tempra, che non so se potrá (come lo desidero) infiammare moltissimo l’animo dei presenti uditori.