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avventarsi l’uno all’altro, e sbranarsi. Per renderli dunque teatrali e soffribili, ho creduto che si dovesse dare al lor odio delle tinte diverse, per cui suscettibile riuscisse d’una qualche sospensione. Il mio Polinice è dunque nato assai piú mite che non è Eteocle; egli ama moltissimo la sorella, la madre, la moglie, il figlio, ed il suocero; egli può quindi riuscire toccantissimo, e venir compatito. Eteocle, per non amare altro che il regno, riesce odiosissimo; ma potrá pure anche essere alquanto compatito, come ingannato e sedotto da Creonte, e come sforzato dalla necessitá a difendersi in qualunque modo ei potrá.

Di Giocasta non mi occorre dir nulla, perché a me pare ch’ella sia vera madre; ma tutto l’orrore dello stato suo non produrrá però in noi la metá dell’eftetto, che avrebbe potuto produrre nei popoli di un’altra opinion religiosa.

Antigone, personaggio non necessario, ma certamente non inutile, coll’amar piú Polinice ch’Eteocle, si mostra assai giusta; ma questa parzialitá ragionevole, che rende non meno Antigone che Polinice assai piú graditi agli spettatori, avrebbe disdetto assolutamente a Giocasta; che troppo è diverso dall’amor di sorella l’amore di madre.

Di Creonte poi, altro non dirò, se non che questo iniquo carattere, senza cui pure la tragedia star non potrebbe, (almeno, come l’ho ideata) verrá ad ottener favore dagli spettatori, ove egli non ne cavi le fischiate. In molte altre tragedie, e di sommi autori, ho veduti assai di questi smaccati felloni introdottivi: al loro riapparire in palco, vanno sempre eccitando un non so qual mormorío d’indegnazione; questo mormorío poi, secondo la destrezza dell’autore, e secondo l’abilitá dell’attore, o viene a risolversi in un silenzio scontento, o in una manifesta nausea, o perfino in risate; massimamente quando il Creonte ardisce troppo lungamente e troppo spesso parlar di virtú, e pomposamente vestirsene; ovvero, quando in qualche soliloquio egli senza necessitá malaccortamente discuopre al pubblico, piú che non bisogna, la viltá tutta dell’animo suo. Non posso io dunque decidere, se in questo mio Creonte io abbia salvato affatto questi due principalissimi punti, perché recitar non l’ho visto. Io prego perciò i futuri uditori (se pur mai ne avrò) a volersi ricordare, che vedendo io rappresentato questo mio Creonte, io stesso l’avrei forse anche fischiato. Ma, non posso io dalla semplice lettura, né per via della piú matura ragionata riflessione, venirne in ciò a giudicar pienamente l’effetto