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atto quinto 323
irne in campo ei volea; certo egli quíndi

di re tornarne a mano armata, e farvi
caro costare il mal negato serto.
L’oro, i banchetti, le lusinghe, i giuochi,
per far voi servi, ei profondea: ma indarno
l’empio il tentò; Romani voi, la vostra
libertá non vendete: e ancor per essa
presti a morir tutti vi veggio: e il sono
io, quanto voi. Libera è Roma; in punto
Bruto morrebbe. Or via, svenate dunque
chi libertá, virtú vi rende, e vita;
per vendicare il vostro re, svenate
Bruto voi dunque: eccovi ignudo il petto...
Chi non vuol esser libero, me uccida. —
Ma, chi uccidermi niega, omai seguirmi
debbe, ed a forza terminar la impresa.
Popolo Qual dir fia questo? — Un Dio lo inspira...
Bruto   Ah! veggo
a poco a poco ritornar Romani
i giá servi di Cesare. Or, se Bruto
roman sia anch’egli, udite. — Havvi tra voi
chi pur pensato abbia finora mai
ciò, ch’ora io sto con giuramento espresso
per disvelare a voi? — Vero mio padre
Cesare m’era...
Popolo   Oh ciel! che mai ci narri?...
Bruto Figlio a Cesare nasco; io ’l giuro; ei stesso
jer l’arcano svelavami; ed in pegno
di amor paterno, ei mi volea, (vel giuro)
voleva un dí, quasi tranquillo e pieno
proprio retaggio suo, Roma lasciarmi.
Popolo Oh ria baldanza!...
Bruto   E le sue mire inique
tutte a me quindi ei discoprire ardiva...
Popolo Dunque (ah pur troppo!) ei disegnava al fine
vero tiranno appalesarsi...