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atto quarto | 313 |
SCENA TERZA
Antonio, Cassio, Bruto, Cimbro.
di te: parlar teco degg’io.
Bruto Favella:
io t’ascolto.
Anton. Ma, dato emmi l’incarco
dal dittatore...
Bruto E sia ciò pure.
Anton. Io debbo
favellare a te solo.
Bruto Io quí son solo.
Cassio, di Giunia a me germana è sposo;
del gran Caton mio suocero, l’amico
era Cimbro, e il piú fido: amor di Roma,
sangue, amistá, fan che in tre corpi un’alma
sola siam noi. Nulla può dire a Bruto
Cesare mai, che nol ridica ei tosto
a Cassio, e a Cimbro.
Anton. Hai tu comun con essi
anco il padre?
Bruto Diviso han meco anch’essi
l’onta e il dolor del tristo nascer mio:
tutto ei sanno. Favella. — Io son ben certo,
che in se tornato Cesare, ei t’invia,
generoso, per tormi or la vergogna
d’esser io stato d’un tiranno il figlio.
Tutto esponi, su dunque: aver non puoi
del cangiarsi di Cesare sublime,
da re ch’egli era in cittadin, piú accetti
testimon mai, di questi. — Or via, ci svela
il suo novello amore alto per Roma;
le sue per me vere paterne mire;
ch’io benedica il dí, che di lui nacqui.