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atto terzo 305
di liber’uom, libero anch’egli, in Roma

libera: o Bruto, esser non vuole. Io sono
presto a versar tutto per Roma il sangue;
e in un per te, dove un Roman tu sii,
vero di Bruto padre... Oh gioja! io veggo
sul tuo ciglio spuntare un nobil pianto?
Rotto è del cor l’ambizíoso smalto;
padre or tu sei. Deh! di natura ascolta
per bocca mia le voci; e Bruto, e Roma,
per te sien uno.
Cesare   ... Il cor mi squarci... Oh dura
necessitá!... Seguir del core i moti
soli non posso. — Odimi, amato Bruto. —
Troppo il servir di Roma è omai maturo:
con piú danno per essa, e men virtude,
altri terralla, ove tenerla nieghi
Bruto di man di Cesare...
Bruto   Oh parole!
Oh di corrotto animo servo infami
sensi! — A me, no, non fosti, né sei padre.
Pria che svelarmi il vil tuo core, e il mio
vil nascimento, era pietá piú espressa
me trucidar, tu, di tua mano...
Cesare   Oh figlio!...
Bruto Cedi, o Cesare...
Cesare   Ingrato,... snaturato...
che far vuoi dunque?
Bruto   O salvar Roma io voglio,
o perir seco.
Cesare   Io ravvederti voglio,
o perir di tua mano. Orrida, atroce
è la tua sconoscenza... Eppure, io spero,
ch’onta ed orror ne sentirai tu innanzi
che in senato ci vegga il dí novello. —
Ma, se allor poi nel non volermi padre
ti ostini, ingrato; e se, qual figlio, sdegni


 V. Alfieri, Tragedie — III. 20