Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. III, 1947 – BEIC 1728689.djvu/310

304 bruto secondo
in Farsaglia, poche ore anzi alla pugna.

Mira; a te nota è la sua mano: ah! leggi.
Bruto1 «Cesare (oh ciel!) stai per combatter forse,
«Pompeo non pure, e i cittadini tuoi,
«ma il tuo proprio figliuolo. È Bruto il frutto
«de’ nostri amori giovenili. È forza,
«ch’io te lo sveli; a ciò null’altro trarmi
«mai non potrebbe, che il timor di madre.
«Inorridisci, o Cesare; sospendi,
«se ancor n’è tempo, il brando: esser tu ucciso
«puoi dal tuo figlio; o di tua man tu stesso
«puoi trucidarlo. Io tremo... Il ciel, deh! voglia,
«che udito in tempo abbiami un padre!... Io tremo...
«Servilia.» — Oh colpo inaspettato e fero!
Io di Cesare figlio?
Cesare   Ah! sí, tu il sei.
Deh! fra mie braccia vieni.
Bruto   Oh padre!... Oh Roma!...
Oh natura!... Oh dover!... — Pria d’abbracciarti,
mira, a’ tuoi piè prostrato Bruto cade;
né sorgerá, se in te di Roma a un tempo
ei non abbraccia il padre.
Cesare   Ah! sorgi, o figlio. —
Deh! come mai sí gelido e feroce
rinserri il cor, che alcun privato affetto
nulla in te possa?
Bruto   E che? credi or tu forse
d’amar tuo figlio? Ami te stesso; e tutto
serve in tuo core al sol desio di regno.
Mostrati, e padre, e cittadin; che padre
non è il tiranno mai: deh! tal ti mostra;
e un figlio in me ritroverai. La vita
dammi due volte: io schiavo, esser nol posso;
tiranno, esser nol voglio. O Bruto è figlio


  1. Legge il foglio.