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276 bruto secondo
da ch’ei di Crasso è vincitore; il Parto,

che sta di sua vittoria inopinata
stupidamente attonito; e ne aspetta
il gastigo da voi. Null’altro manca
alla gloria di Roma; ai Parti e al mondo
mostrar, che lá cadean morti, e non vinti,
quei romani soldati, a cui fea d’uopo
romano duce, che non d’auro avesse,
ma di vittoria, sete. A tor tal onta,
a darvi in Roma il re dei Parti avvinto,
io mi appresto; o a perir nell’alta impresa.
A trattar di tal guerra, ho scelto io questo
tempio di fausto nome: augurio lieto
per noi sen tragga: ah! sí; concordia piena
infra noi tutti, omai fia sola il certo
pegno del vincer nostro. Ad essa io dunque
e vi esorto, e vi prego. — Ivi ci appella
l’onor di Roma, ove l’oltraggio immenso
ebber l’aquile invitte: a ogni altro affetto
silenzio impon l’onor per ora. In folla
arde il popol nel foro; udir sue grida
di quí possiam; che a noi vendetta ei pure
chiede (e la vuol) dei temerarj Parti.
Risolver dunque oggi dobbiam dell’alta
vendetta noi, pria d’ogni cosa. Io chieggo
dal fior di Roma (e, con romana gioja,
chiesto a un tempo e ottenuto, io giá l’ascolto)
quell’unanime assenso, al cui rimbombo
sperso fia tosto ogni nemico, o spento.
Cimbro Di maraviglia tanta il cor m’inonda
l’udir parlar di unanime consenso,
ch’io quí primo rispondo; ancor che a tanti
minor, tacer me faccia uso di legge.
Oggi a noi dunque, a noi, giá da tanti anni
muti a forza, il parlare oggi si rende?
Io primier dunque, favellar mi attento: