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atto secondo 231
che in me non hai fidanza niuna; e ch’io

mal rispondo a tua scelta, e che pentita
tu in cor ne sei. Non io di ciò terrommi
offeso, no; ben di mortal cordoglio
pieno ne andrò. Ma, che ti cale in somma
il disperato duol d’uom che niente ami,
e poco estimi? A me rileva or troppo
il non farti infelice. — Ardita, e franca
parlami, dunque. — Ma, tu immobil taci?...
Disdegno e morte il tuo silenzio spira...
Chiara è risposta il tuo tacer: mi abborri;
e dir non l’osi... Or, la tua fe riprendi
dunque: dagli occhi tuoi per sempre a tormi
tosto mi appresto, poiché oggetto io sono
d’orror per te... Ma, s’io pur dianzi l’era,
come mertai tua scelta? e s’io il divenni
dopo, deh! dimmi; in che ti spiacqui?
Mirra   ... Oh prence!...
L’amor tuo troppo il mio dolor ti pinge
fero piú assai, ch’egli non è. L’accesa
tua fantasia ti spigne oltre ai confini
del vero. Io taccio al tuo parlar novello;
qual maraviglia? inaspettate cose
odo, e non grate; e, dirò piú, non vere:
che risponder poss’io? — Questo alle nozze
è il convenuto giorno; io presta vengo
a compierle; e di me dubita intanto
il da me scelto sposo? È ver, ch’io forse
lieta non son, quanto il dovria chi raro
sposo ottiene, qual sei: ma, spesse volte
la mestizia è natura; e mal potrebbe
darne ragion chi in se l’acchiude: e spesso
quell’ostinato interrogar d’altrui,
senza chiarirne il fonte, in noi l’addoppia.
Pereo T’incresco; il veggo a espressi segni. Amarmi,
io sapea che nol puoi; lusinga stolta