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atto secondo 229
ma di dolor pieno, e di morte, il viso

disperata la mostra. Ella mi accerta,
e rinnuova ogni dí, che sposo vuolmi;
ch’ella m’ami, nol dice; alto, sublime,
finger non sa il suo core. Udirne il vero
io bramo e temo a un tempo: io ’l pianto affreno;
ardo, mi struggo, e dir non l’oso. Or voglio
di sua mal data fede io stesso sciorla;
or vo’ morir, che perder non la posso;
né, senza averne il core, io possederla
vorrei... Me lasso!... ah! non so ben s’io viva,
o muoja omai. — Cosí, racchiusi entrambi,
e di dolor, benché diverso, uguale
ripieni l’alma, al dí fatal siam giunti,
che irrevocabil oggi ella pur volle
all’imenéo prefiggere... Deh! fossi
vittima almen di dolor tanto io solo!
Ciniro Pietá mi fai, quanto la figlia... Il tuo
franco e caldo parlare un’alma svela
umana ed alta: io ti credea ben tale;
quindi men franco non mi udrai parlarti. —
Per la mia figlia io tremo. Il duol d’amante
divido io teco; ah! prence, il duol di padre
meco dividi tu. S’ella infelice
per mia cagion mai fosse!... È ver, che scelto
ella t’ha sola; è ver, che niun l’astringe...
Ma, se pur onta, o timor di donzella...
se Mirra, in somma, a torto or si pentisse?...
Pereo Non piú; t’intendo. Ad amator, qual sono,
appresentar puoi tu l’amato oggetto
infelice per lui? ch’io me pur stimi
cagion, benché innocente, de’ suoi danni,
e ch’io non muoja di dolore? — Ah! Mirra
di me, del mio destino, omai sentenza
piena pronunzi: e s’or Peréo le incresce,
senza temenza il dica: io non pentito