Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. III, 1947 – BEIC 1728689.djvu/213


atto quinto 207
nostro perciò l’altrui? che cal dell’oro

a noi, che al fianco brando, e al petto usbergo
di libertade abbiamo?...
Valer.   Arsi sien, arsi
tutti i tesori dei tiranni; o assorti
sien del Tebro fra l’onde...
Popolo   E in un perisca
ogni memoria dei tiranni...
Valer.   E pera
del servir nostro ogni memoria a un tempo.
Coll. — Degno è di voi, magnanimo, il partito;
eseguirassi il voler vostro, in breve.
Popolo Sí: ma frattanto, e la congiura, e i nomi
dei congiurati esponi.
Coll.   ... Oh cielo!... Io tremo
nel dar principio a sí cruda opra...
Popolo   E Bruto,
tacito, immobil, sta?... Di pianto pregni
par che abbia gli occhi; ancor che asciutto e fero
lo sguardo in terra affisso ei tenga. — Or via,
parla tu dunque, o Collatino.
Coll.   ... Oh cielo!...
Valer. Ma che fia mai? Liberator di Roma,
di Lucrezia marito, e consol nostro
non sei tu, Collatino? Amico forse
dei traditor saresti? in te pietade,
per chi non l’ebbe della patria, senti?
Coll. — Quando parlar mi udrete, il dolor stesso
che il cuor mi squarcia e la mia lingua allaccia,
diffuso in voi fia tosto: io giá vi veggio,
d’orror compresi e di pietade, attoniti,
piangenti, muti. — Apportator ne andava
Mamilio al re di questo foglio: a lui,
pria ch’ei di Roma uscisse, io torre il fea:
e confessava il perfido, atterrito,
che avean giurato i cittadin quí inscritti