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atto quinto 205
congiurato pel re.

Popolo   Pel re? Quai sono?
Quai son gl’iniquí traditori, indegni
d’esser Romani? Or via; nomali; spenti
li vogliam tutti...
Coll.   Ah!... nell’udirne i nomi,
forse,... chi sa?... Nel pronunziargli, io fremo...
Piú la clemenza assai, che la severa
giustizia vostra, implorerò. Son questi
pressoché tutti giovanetti: i mali
tanti, e sí feri, del civil servaggio
provato ancor, per poca etá, non hanno:
e i piú, cresciuti alla pestifer’ombra
della corrotta corte, in ozio molle,
di tirannia gustato han l’esca dolce,
ignari appien dell’atroce suo fiele.
Popolo Quai che pur sien, son traditor, spergiuri;
pietá non mertan; perano: corrotti
putridi membri di cittá novella,
vuol libertá che tronchi sieno i primi.
Nomali. Udiamo...
Valer.   E noi, benché convinti
pur troppo omai, che alla patrizia gente
questo delitto rio (disnor perenne!)
si aspetta, or pure i loro nomi a prova
noi col popol chiediamo. — Oh nobil plebe
ad alte cose nata! oh te felice!
Tu almen della tirannide portavi
soltanto il peso; ma la infamia e l’onta
n’erano in noi vili patrizj aggiunte
al pondo ambíto dei mertati ferri.
Noi, piú presso al tiranno; assai piú schiavi,
e men dolenti d’esserlo, che voi;
noi quindi al certo di servir piú degni.
Io n’ho il presagio; a spergiurarsi i primi
erano i nostri. — O Collatin, tel chieggo