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atto quinto 151
Io son pur sempre il tuo Scipione: indarno

cerchi or te stesso altrove; io sol ti posso
rendere a te.
Massin.   Fuor di me stesso io m’era,
certo, in quel dí, che di mia vita e onore
traffico infame, onde acquistar catene,
io fea con voi. Ma, la dovuta ammenda
faronne io forse; e fia sublime. Allora
vedrai, che appien tornato in me son io.
Scip. Giá tel dissi; svenarmi, o Massinissa,
anco tu puoi: ma, fin ch’io spiro, è forza
che tu mi ascolti.
Massin.   A ciò mi manca or tempo...
Scip. Breve or tempo hai da ciò. — Ma omai, che speri?
Ogni tua trama è a me palese: stanno
furtivamente in armi entro lor tende
i tuoi Numídi; impreso hai di sottrarre
Siface, e in un...
Massin.   Se tanto sai; se l’arti
d’indagator tiranno a tanto hai spinte,
ch’anco fra’ miei chi mi tradisca hai compro;
a compier l’opra anche la forza aggiungi,
poiché piú armati hai tu. Presto me vedi
a morir, sempre; a mi cangiar, non mai.
Scip. Scipion tu oltraggi; ei tel perdona. Ah! teco
spada adoprar null’altra io vo’, che il vero;
e col ver vincerotti. La tua stessa
Sofonisba, che t’ama, (il crederesti?)
ella stessa svelare a me tue trame
appieno or dianzi fea...
Massin.   Che ascolto? oh cielo!...
Scip. Sí, Massinissa; io te lo giuro. Or dianzi,
per espresso comando di Siface,
fu dal suo padiglione ella respinta;
quindi e rabbia e dolore a tal l’han tratta,
ch’ogni disegno tuo scoprir mi fea. —