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atto secondo 127
sposa ed amante a te crescea. Nemico

aspro di Roma eri tu allor, com’io:
piacque poscia a Cartagine, ed al padre,
ch’io di Siface fossi; e a te pur piacque
farti ai Romani amico: allor disgiunti
c’ebbe il destino...
Massin.   Ah! riuniti, il giuro,
siamo or per sempre. O avrai tu meco regno,
o morte io teco. — L’aver io dappresso
vista e provata la virtú sovrana
del gran Scipione, e il non aver mai vista
la tua beltá, fur le cagioni allora,
ch’io per Roma pugnassi. Ognor nemico
stato m’era Siface; ei del mio trono
m’avea spogliato: io di fortuna avversa
agli estremi ridotto, amico niuno,
fuor che Scipione, al mondo non trovava;
e a lui mi strinse indissolubil nodo
di gratitudin sacra. Io largamente
compri ho di Roma i beneficj poscia,
col mio sangue, pugnando in sua difesa:
ma i beneficj di Scipion, sua pura
alta amistá, coll’amistá soltanto,
e coll’omaggio a sue virtú, si ponno
pagar da me. Piú di Scipion, te sola
amo; te sola or piú di lui; ch’io t’amo
piú di me stesso assai.
Sofon.   Giurami dunque,
per darmen prova che di noi sia degna,
giurami or tu, che mai d’Affrica trarre
non lascerai me viva.
Massin.   Inutil fia.
Pur, poiché il vuoi, per questo brando io il giuro.
T’avrei condotta io quí, se quí in periglio
io ti credessi? Infra i Numídi miei
potea secura entro il mio regno trarti: