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122 sofonisba
in vostra Italia il piede; a mano armata

stai nell’Affrica tu. Cartagin pria,
poscia l’Affrica intera, è in voi lusinga
di soggiogare. A me vicina, e quindi
ora a vicenda amica, ora nemica,
Cartagin era: e benché abborra anch’ella,
al par che Roma, i re; di orgoglio e possa
men soverchiante il popol suo, che il vostro,
men da me pure era abborrito. Offeso
è il cuor d’un re tacitamente sempre
da ogni libero popolo; qual ira
destar gli de’ quel ch’è con lui superbo? —
Eccoti piano il tutto: odiarvi a morte,
come insolenti predator stranieri,
era il mio cor: fede, amistá giurarvi,
dopo le ispane alte vittorie vostre,
era il mio senno.
Scip.   Ma il valor dell’armi
Romane a prova conosciuto avevi;
perché tua fede non serbar tu a Roma?
Siface — E che dirá Scipion, se il ver gli narro?
Scipion, quel grande, il di cui core, albergo
d’amistá, di pietá, d’ogni sublime
umano affetto, al solo amore ognora
impenetrabil fu. — Lusinghe, amore,
irresistibil possa di beltade,
quí m’han condotto; a te il confesso; e in dirlo,
non io nel volto di rossor sfavillo.
Te cittadino, amor di gloria sprona
a superare i cittadin tuoi pari;
quindi all’altro sei sordo: a un re, che in trono
eguali a se non ha, tal sprone manca;
quindi alla gloria sordo il rende ogni altra
sua passíone. A un re infelice il credi;
ch’ei verace esser può. Tu, da quel grande
che sei, piú ch’odio o spregio, pietá tranne;
ch’io da Scipion soltanto non la sdegno.