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atto quarto 103
tirannia di te sol non sottentrasse?

E tirannide, in ciò piú ria di tanto,
che a se di leggi fea mendace velo.
Agide Mentr’io per voi di Sparta in campo usciva,
mentre agli Etoli in armi io pur mostrava,
con danno lor, nuovi Spartani in armi;
d’eforo fatto Agesiláo tiranno,
ei commettea molt’opre in Sparta inique.
Volete voi del suo fallir me reo?
Io la pena ne accetto; ove pur colga
d’alcune mie virtudi il frutto Sparta:
virtú, che voi, di mal talento pieni,
pur negar non mi ardite. — Offeso v’hanno,
non di Licurgo le tornate leggi,
(tant’io feci, e non piú) ma i crudi modi
d’Agesiláo? che fare altro vi resta,
che me svenare, e proseguir mie imprese?
Anfar. E a disfar Sparta Agesiláo ti mosse?
Agide A rifar Sparta, io da me sol mi mossi,
perché Spartan son io.
Anfar.   Di’; riconosci
per vero re Leonida?
Agide   Conosco
un spartano Leonida, che cadde
in Termopile morto, con trecento
Spartani, a pro di Sparta.
Anfar.   In cotal guisa
rispondi tu? La maestá sí poco
del senato e degli efori rispetti?
Agide La maestá di Sparta osservo, e adoro,
nel risponder cosí.
Anfar.   Colpevol dunque
tu ti confessi?
Agide   E me colpevol tieni
tu, che mi accusi? — Omai si ponga, omai
fine si ponga al simulato gioco.