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76 ottavia
pria della vita? Or via; Neron, che tardi?

Pace, il sai, (se pur pace esser può teco)
aver non puoi, finch’io respiro: i mezzi
di trucidar debole donna inerme
mancar ti ponno? Entro i recessi cupi
di questa reggia, atro funesto albergo
di fraude e morte, a tuo piacer mi traggi;
e mi vi fa svenare. Anzi, tu stesso
puoi di tua man svenarmivi: mia morte,
non che giovarti, è necessaria omai.
Del sol morir dunque ti appaga. Ogni altra
strage de’ miei ti perdonai giá pria;
me stessa or ti perdono; uccidi, regna,
e uccidi ancor: tutte le vie del sangue
tu sai; giá in colorar le tue vendette
Roma è dotta; che temi? in me dei Claudj
muore ogni avanzo; ogni memoria e amore
che aver ne possa la plebe. I Numi
son usi al fumo giá dei sanguinosi
incensi tuoi: stan d’ogni strage appesi
i voti ai templi giá; trofei, trionfi
son le private uccisioni. — Or dunque
morte a placarti basti: or macchia infame
perché mi apporre, ov’io morte sol chieggo?
Ner. — In tua difesa intero a te concedo
questo nascente dí. Se rea non sei,
gioja ne avrò. — Non l’odio mio, ma temi
il tuo fallir, che di gran lunga il passa.


SCENA SETTIMA

Ottavia.

Misera me!... Crudo Neron, pasciuto

di sangue ognor, di sangue ognor digiuno!