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atto secondo 75
meco venirne ella in amarti. Ottiene

ella il tuo cor; ma il merto io sola.
Ner.   Amarmi,
no, tu non puoi.
Ottav.   Ch’io nol dovrei, di’ meglio:
ma dal tuo cor non giudicar del mio.
So, che fuor me ne serra eternamente
il sangue, ond’esco; e so, che in me tua immago,
contaminata del sangue de’ miei,
loco trovar mai non dovria: ma forza
di fato è questa. — Or, se il fratello, il padre,
da te svenati io non rimembro, ardisci
tu a delitto il fratello e il padre appormi?
Ner. A delitto ti appongo Eucero vile...
Ottav. Eucero! a me?...
Ner.   Sí; l’amator, che merti.
Ottav. Ahi giusto ciel! tu l’odi?...
Ner.   Havvi chi t’osa
rea tacciar d’impudico amor servile:
or, per ciò solo io ti ritraggo in Roma.
O a smentirlo, o a riceverne la pena,
a qual piú vuoi, ti appresta.
Ottav.   Oh non piú intesa
scelleraggine orrenda! Ov’è l’iniquo
accusator?... Ma, oimè! stolta, che chieggo? —
Nerone accusa, e giudica, ed uccide.
Ner. Or vedi amore! odi il velen, se tutto
dal petto al fin non ti trabocca; or, ch’io
le tue arcane laidezze in parte scopro.
Ottav. Misera me!... Che piú mi avanza? In bando
dal talamo, dal trono, dalla reggia,
dalla patria; non basta?... Oh cielo! intera
mia fama sola rimaneami; sola
mi ristorava d’ogni tolto bene:
sí preziosa dote erami indarno
da colei, che in non cal tenne la sua,
invidíata: ed or mi si vuol torre,