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60 ottavia
tutto il deggio a te solo. — Or, poiché tolto

ti sei, quí, stando, il tuo candor tu stesso;
poiché di buono il nome, ov’uom sel perda,
mai nol racquista piú; giovami, il puoi.
Me giá scolpasti dei passati falli;
prosiegui; lauda, e l’opre mie colora;
ch’è di alcun peso il parer tuo. Te crede
men rio che altr’uom la plebe; in te gran possa
tuttor suppon sovra il mio cor: tu in somma,
tal di mia reggia addobbo sei, che biasmo
di me non fai, che piú di te nol facci.
Seneca Ti giova, il so, ch’altri pur reo si mostri:
divisa colpa, a te men pesa. Or sappi,
ch’io, non reo de’ tuoi falli, io pur ne porto
la pena tutta: del regnar mi è dato
il miglior premio; in odio a tutti io sono.
Qual mi puoi nuova infame cura imporre,
che aggiunga?...
Ner.   Ei t’è mestier dal cor del volgo
trarre Ottavia.
Seneca   Non cangia il volgo affetti,
come il signore; e mal s’infinge.
Ner.   All’uopo
ben cangia il saggio e la favella, e l’opre:
e tu sei saggio. Or va; di tua virtude,
quanta ella sia, varrommi, il dí che appieno
dir potrò mio l’impero: io son frattanto,
il mastro io sono in farlo mio davvero,
l’alunno tu: fa ch’io ti trovi or dunque
docile a me. Non ti minaccio morte;
morir non curi, il so; ma di tua fama
quel lieve avanzo, onde esser carco estimi,
pensa che anch’egli al mio poter soggiace.
Torne a te piú, che non ten resta, io posso.
Taci omai dunque, e va; per me t’adopra.
Seneca Assolute parole odo, e cosperse