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atto quinto 397
l’insano ardir, l’orgoglio, il parlar fero,

or si addoppiano in te?
Garzia   Donde? di sangue
io lordo tutto, esecutore io sono
de’ tuoi comandi, e insuperbir non deggio?
Non son io de’ tuoi figli a te il piú caro,
da che il piú reo mi sono?
Cosimo   Or or, fellone,
pur tremerai...
Garzia   Tremai, finché innocente
io m’era: or sto securo. A te sol chieggo,
che adempí la tua fe. Fermo, e per sempre,
ho il mio destino giá.
Cosimo   Piú fermo è forse
il voler mio. Colei non fia mai sciolta,
se non ti è sposa pria: fra eterni ceppi,
o tua. L’antico suo rancor, la nuova
brama che avrá di vendicare il padre,
ch’io recar lasci ad altro sposo in dote?
A lei tu solo.
Garzia   Ahi lasso me! che feci?...
Oh! qual sei tu?.., No... mai...
Cosimo   Cessa; dolerti
ciò non ti dee per or: ti è d’uopo pria
ben accertarmi, che Salviati hai spento. —
Come il sai tu? quai me n’apporti prove?
Garzia Quai prove? oh rio dolor! esser quí dunque
fellon, non basta? anco è mestier far pompa
delle commesse iniquitá? Scolpito
mirami in volto il mio delitto, e godi.
L’oprar mio disperato, e gli occhi, e gli atti,
e morte, ch’ogni mia parola spira;
tutto or nol dice? e il sangue, ond’io macchiato
son dal capo alle piante, ancor vermiglio,
fumante ancora?...
Cosimo   Il veggio: ma, qual sia