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366 don garzia
quind’io sempre obbedia; tu il sai; piú volte

men laudasti tu stesso in suon di gioja. —
Sol or vuoi rimaner? ti lascio: e induco
giá da chi ’l narra, qual sia questo arcano;
e so perché nol debba udire io sola.
Ma udir non vo’ di Pier la lingua, ognora
al nuocer presta: ah! degli estrani a danno
la usasse ei pur soltanto! almen tremarne
io non dovrei, come tuttor ne tremo.
Io mal gradito testimon, per certo,
son dell’arti sue note.
Piero   In un sol figlio
tutto hai riposto il tuo materno affetto:
colpa è degli altri; ed io ne soffro intanto
dura la pena; e in me pur solo cada!
Presta è mia lingua a nuocer sempre? il dica
quel tuo figlio diletto, a cui non porto
odio, ma invidia sí; dica, s’io mai
gli nocqui, o in detti, o in opre. — Orrida taccia
madre, or mi dai: pur mi dorria piú forte,
s’altri, che madre, a me la desse; o s’altri,
che il mio padre e signor, darmela udisse.
Ma il mio dovere io so; soffrir, tacermi
deggio; e soffro, e mi taccio.
Cosimo   Or, vuoi tu, donna,
con questi modi in iscompiglio porre
la reggia nostra?
Eleon.   In iscompiglio porla,
deh, non voglia altri! abbominevol peste,
deh, giá fra noi posto non abbia il seggio!
Il loco io cedo: di costui gli arcani
ch’io mai non sappia, e tu non mai li creda!