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atto terzo 31
Rosm.   Accoppi

al tradimento anco gli oltraggi?
Almac.   Oltraggio
chiami ogni laude, che a virtú si rende;
giá il so: ma che perciò? dove ella regna,
men pregiarla degg’io? M’odia Romilda,
l’udii pur troppo; e il cor trafitto ha d’altro
strale... Dolor, ch’ogni dolore avanza,
ne sento in me. Conosco al vento sparsi
i sospir miei; vana ogni speme io veggo:
pur, non amarla, ah! nol poss’io. — Dolerti
tu di mia fe non puoi; tu, che pur sai,
come, dove, perché, te l’abbia io data.
Tu il sai, che a dare, od a ricever morte
lá m’astringevi: a me la incerta mano
armavi tu del parricida acciaro;
sovvienti? e lá, fra il tradimento, e i pianti,
e le tenebre, e il sangue, amor giuravi,
chiedendo amor: ma, di vendetta all’are
lascia giurarsi amore? Io lá fui reo,
nol niegherò; ma tu, potevi, o donna,
di vero amor figlia estimar la fede
chiesta, e donata, in cosí orribil punto?
Rosm. Sí; m’ingannai: scerner dovea, che in petto
di un traditor mai solo un tradimento
non entra. Del tuo timido coraggio
dovea valermi a mia vendetta; e poscia
l’ombra placar del tuo signor tradito,
l’uccisore immolandole. Quest’era
dovuto premio a te; non la mia destra,
non il talamo mio, non il mio trono;...
non il mio core.
Almac.   Oh pentimento illustre!
Ben sei Rosmunda. — Or, ciò che allor non festi,
far nol puoi tutto? Altro Almachilde trova;
(e non ven manca) egli al primier tuo sposo