Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. II, 1946 – BEIC 1727862.djvu/363


atto primo 357
di sangue avari. Ah! ben tel dicon essi,

quanto è lubrica al trono infida base
lo sparso sangue. — Ucciderai Salviati,
forse non reo: nemici altri verranno:
fian spenti? ed altri insorgeranno. — Il brando
del diffidar, la insazíabil punta
ritorce al fin contro chi l’elsa impugna.
Deh! pria che or scenda, il tieni in alto alquanto:
ferito ch’abbia, ei piú non resta. A un tempo,
e a chi ti spiace, e alla tua fama, o padre,
deh! tu perdona.
Diego   Ei da me ognor dissente.
Piero Io, minor d’anni, e di consiglio quindi,
parlerò pur, poiché il comanda il padre.
Prode qual è, Diego parlò; né biasmo
giá di Garzía gli accenti, ancorch’io spieghi
parer tutt’altro. Io, di Salviati al solo
nome, che a me suona delitto, io fremo.
Altro Salviati a tradimento ardiva
il ferro alzar sovra Lorenzo nostro.
Padre, sol duolmi, che nemico troppo
apertamente di costui mostrato
finor ti sei: non, perché a lui piú umano
mostrandoti, cangiar quel doppio core
tu mai potessi; ma, talor men biasmo
acquista al prence il trucidar gli amici,
che il punire i nemici. — Una, fra tante
stragi, onde mai di Tiberio la rabbia
sazia non fu, sol una a Roma piacque.
Vero o mentito di Sejan foss’egli
il congiurar; pubblica gioja, e risa,
e canti, e scherni, le sue esequie furo.
Amico al prence, a ogni altro in odio: ei cadde
quindi abborrito, invendicato, e vile. —
Vuoi tu spento Salviati, e salvo a un tratto
da invidia te? ciò che non festi, imprendi.