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30 rosmunda
all’ucciso mio padre, a lui li serbo:

a me sua vita, e l’alta fama, e il brando,
l’invincibil suo brando, egli a me serba.
Ma, dove pur sia il nostro viver vano;
dove ogni scampo, ogni vendetta tolta
ne venga; allor meno infelici sempre
sarem di voi. Morte n’è scampo; e invitta
l’avrem, che al vil mai non soggiace il prode;
lieta l’avrem, poiché fra noi divisa,
di pentimenti, e di rampogne scevra,
e di rimorsi, e di timore; in somma
morte avrem noi piú mille volte dolce,
che la tremante orribil vita vostra.
Rosm. Basta. Esci. Va. — Saprai tua sorte in breve.


SCENA TERZA

Rosmunda, Almachilde.

Rosm. Perfido, infame, disleal, spergiuro...

Libero al dir m’è al fin concesso il campo.
Altra ami tu?... Ma, ben provvide il cielo;
e, qual tu il merti, ríamato sei.
Oh ineffabile gioja! E chi potrebbe,
chi soffrir mai tuo amor? chi, se non io? —
Quasi or cara s’è fatta a me Romilda,
da ch’io l’udii parlarti. Oh! che non posso
quant’ella t’odia odiarti? A me, cui tanto
tu dei, tal premio rendi? a me, che il guardo
infino a te, vile, abbassai dal trono?
Or parla,... di’;... ma che dirai, che vaglia
a scolparti?
Almac.   A scolparmi? ai falli scusa
si cerca, e mal si trova. Amar virtude,
quanta il ciel mai ne acchiuse in cor di donna,
gloria m’è, gloria; e non delitto.