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336 la congiura de’ pazzi
Gugl. Vero parli; ma pur,... di umano sangue

contaminar gli altari...
Salv.   Umano sangue
quel de’ tiranni? Essi di sangue umano
si pascon, essi. E a cotai mostri asilo
santo v’avrá? l’iniquitá secura
starsi, ove ha seggio la giustizia eterna?
Non io l’acciaro tratterrei, se avvinti
fosser del Nume al simulacro entrambi.
Gugl. Noi scellerati irriverenti mostri,
ad alta voce griderá la plebe,
che ciò mira d’altr’occhio. O torne il frutto,
o rovinar l’impresa or può quest’una
universale opiníon...
Raim.   Quest’una
giovarne può: non è soverchio il tempo:
o doman gli uccidiamo, o non piú mai.
Ciò che rileva, è lo accertare i colpi;
né loco v’ha piú ad accertargli adatto. —
Del popol pensi? ei dalle nuove cose
stupor, piú ch’ira, tragge. Ordine demmo,
che al punto stesso, in cui trarremo il ferro,
di Roma eccheggi entro il gran tempio il nome.
Gugl. Può molto, è ver, fra noi di Roma il nome. —
Ma, qual di voi l’onor del ferir primo
ottiene? a me qual si riserba incarco?
Impeto, sdegno, ardir, non bastan soli;
anzi, può assai, la voglia ardente troppo,
nuocere a ciò. — Freddo valor feroce,
man pronta e ferma, imperturbabil volto,
tacito labbro, e cor nel sangue avvezzo;
tale esser vuolsi a trucidar tiranni.
Inopportuno un moto, un cenno, un guardo,
anco un pensier, può torre al sir fidanza,
tempo all’impresa, e al feritor coraggio.
Raim. I primi colpi abbiam noi scelto: il mio