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320 | la congiura de’ pazzi |
Salv. Nulla il braccio ti arresti; in breve poscia
dalle nostr’opre tratto fia d’inganno
il volgo stolto.
Raim. Ah! mi spaventa, ed empie
di fera doglia or l’avvenire! Al giogo
han fatto il callo: il natural lor dritto
posto in oblio, non san d’esser fra ceppi;
non che bramar di uscirne. Ai servi pare
da natura il servir; piú forza è d’uopo,
piú che a stringergli, a sciorli.
Salv. Indi piú degna
fia l’impresa di te. Liberi spirti
tornare in Grecia a libertade, o in Roma,
laudevol era, e non difficil opra:
ma vili morti schiavi, a vita a un tempo
e a libertá tornar, ben fia codesto,
ben altro ardire.
Raim. È vero: anco il tentarlo,
fama promette. Ah! cosí fossi io certo,
come del braccio e del cor mio, del core
de’ cittadini miei! ma, il sol tiranno
s’odia, e non la tirannide, dai servi.
SCENA SECONDA
Guglielmo, Salviati, Raimondo.
tuttor mercando onori.
Salv. Al suol natío
cura maggior mi torna.
Gugl. E tu mal giungi
in suol, cui meglio è l’obliar. Qual folle
pensiero a noi ti guida? In salvo, lunge
dai tiranni ti stavi, e al carcer torni?