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318 la congiura de’ pazzi
che un tanto arcano avventurar si deggia?

Che ad uom, (nato feroce, è ver) ma fatto
debol per gli anni, ad accordar pur s’abbia
una notte ai pensieri? Oltre a poche ore
bollor non dura entro alle vuote vene;
tosto riede prudenza; indi incertezza,
e lo indugiare, e il vacillare, e il trarre
gli altri in temenza; e fra i timori e i dubbi
l’impresa, il tempo si consuma, e l’ira,
per poi restar con ria vergogna oppressi.
Salv. Ma che? non odia ei pur l’orribil giogo?
non entra a parte dei comuni oltraggi?...
Raim. Egli odia assai, ma assai piú teme; indi erra
infra sdegno e temenza incerto sempre.
Or l’ira ei preme, e miglior sorte ei prega,
e attende, e spera; or, da funesto lampo
all’alma sua smarrita il ver traluce,
e il fero incarco de’ suoi lacci ei sente;
ma scuoterlo non osa. Assai pur mosso
l’ebbe or dianzi l’oltraggio ultimo, ch’io
volli a ogni costo procacciarmi. Ottenga
altri l’inutil gonfalon, che tolto
a me vien oggi. A mel ritorre, io stesso,
con molti oltraggi replicati, ho spinto
i tiranni. Suonarne alte querele
pur fea; dolor della cercata offesa
grave fingendo. — Or, tempi, e luoghi mira,
ove a virtú mescer lo inganno è forza! —
Giá, con quest’arti, al mio volere alquanto
piegai tacitamente il cor del padre.
Tu giungi al fin: tu il pontificio sdegno,
del re la possa, e i concertati mezzi,
tutto esporrai. Qui lo aspettiam; ch’io soglio
quí favellargli.
Salv.   E dei tiranni stanza
anco talvolta non è questa?