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atto primo 301
in altra terra, o figlio. Or, quanto costi

al mio non basso cor premer lo sdegno,
e colorirlo d’amistà mendace,
tu per te stesso il pensa. È ver, ch’io scorsi
d’impazíente libertade i semi
fin dall’infanzia in te: talor, nol niego,
io men compiacqui; ma piú spesso assai
piansi fra me, nel poi vederti un’alma
libera ed alta troppo. Indi mi parve,
che a rattemprare il tuo bollor, non poco
atta sarebbe la somma dolcezza
di Bianca: al fin padre tu fosti; e il sei,
come il son io pur troppo... Ah! cosí stato
nol fossi io mai! visto per lei mi avrebbe
la mia patria morire, o in un con essa.
Raim. E, dove l’esser padre esser fa servo,
farmi padre tu osavi?
Gugl.   Era per anco
dubbio allora il servaggio...
Raim.   Era men dubbia
la viltá nostra allora...
Gugl.   È ver; sperai,
che tardo essendo ogni rimedio e vano
al comun danno omai, tu fra gli affetti
di marito e di padre, il viver queto...
Raim. Ma, se pur nato da null’altro io fossi,
marito quí securamente e padre,
uomo esser può? Non nacqui io certo a queste
vane insegne d’inutil magistrato,
che fan parer, chi l’ultim’è, primiero.
Oggi han perciò forse i tiranni impreso
di torle a me: tanto piú vili insegne,
che a simulata libertá son manto.
Fu il vestirmele infamia; e infamia al pari
lo spogliarmene or fia: mira destino.
Gugl. Fama ne corre, anch’io l’udii; ma pure