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266 maria stuarda
piú che a pietá, vien preso a scherno? E ov’egli

pietá pur desti, può appagarsen mai?
Arrigo Che val superbia, ove di possa è vuota?
Non obbedito re, minor d’ogni uomo
io son quí omai.
Orm.   Ma, di privato i dritti
forse racquisti in mutar cielo? o il nome
di re ti togli? Ah! poiché ardir men porgi
col tuo parlar, ch’io ten convinca or soffri. —
Dove indrizzar tuoi passi? in Gallia? pensa,
ch’ivi e di sangue e d’amistá congiunta
la regia stirpe è con Maria; che tutti
fan plauso a lei colá, dove de’ molli
costumi loro ella da pria s’imbevve.
Colá di Roma un messaggier, munito
di perdonanze e di veleni, stassi
presto ad invader, se glien dai tu il campo.
questo infelice regno. A’ tuoi nemici
datti preso tu stesso: e reo sapranno
farti essi tosto...
Arrigo   Ed agli amici in mezzo
fors’io quí sto?
Orm.   Stai nel tuo regno. — Indarno
ti aggiungerei, come l’Ispano infido,
l’Italo imbelle, asil mal certo l’uno,
infame l’altro, a te sarian: piú dico;
(e vedrai quindi se verace io parli)
dal ricovrarti a Elisabetta appresso,
io primier ti sconsiglio.
Arrigo   E asil mi fora,
terra ov’io fui da libertá diviso?
Ciò non mi cade in mente: ivi rattiensi
a forza ancor la madre mia...
Orm.   Nol vedi
chiaro or per te? la madre tua sarebbe
quí men secura e libera, d’assai.