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atto secondo 21
ma che fia poscia? Essi hanno regno; e quindi

stromenti assai d’iniquitá: feroce,
ma accorta è l’ira di Rosmunda a un tempo.
Deluder puossi?... E se in sua man ricaggio?...
Non lusingarti omai: mia fe non posso,
se non morendo, a te serbare: il tuo
brando, il valor, la vita tua riserba
a ferir colpi, onde si acquetin l’ombre,
del mio padre,... e la mia. Vivi; ti lascio
a vendicare un re tradito, un padre,
e la tua fida amante.
Ildov.   Oh ciel! che ascolto?
Il cor mi squarci. Ah!... se tu mai mi lasci...
certo, a vendetta, ed a null’altro io resto.
Ma pure io spero, che vedrai compiuta
cogli occhi tuoi, tu stessa, la vendetta
del mio re, del tuo padre. È ver, non vanto
regal possanza; ma il terror può molto
quí del mio nome: in cor del prode io regno,
e il vil non curo. Io militai giá sotto
le insegne d’Alboín; molti ho de’ miei
nel campo in armi; e i Longobardi tutti
in battaglia m’han visto. Ogni uom sospira
d’Alboín la memoria; e tu pur sempre
ne sei l’unica figlia. — E s’anco nulla
di ciò pur fosse; infra costor, che a farti
si apprestan forza, havvene un sol, mel noma,
ch’arda in suo cor di cosí nobil fiamma,
che a me il pareggi? Quanto il può madrigna,
ti abborra pur Rosmunda, assai piú t’amo,
io che solo a un tuo cenno a morte corro;
a riceverla, o darla.
Romil.   Oh senza pari
raro amator!... Ma, ancor che immenso, è poco
il tuo amore a combatter l’efferato
odio di lei.