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atto secondo 255
con il latte stranier stranieri errori;

Maria, che a danno della Scozia accoppia
nel suo cor giovenil di Roma i duri
persecutor pensieri, e i molli modi
delle corrotte Gallie; a te non dico
d’obliar mai, ch’ella ti è sposa, e donna:
ella a sua posta pensi; opri a sua posta:
giá non siam noi persecutori: pace
noi sol vogliamo, e libertá: deh! s’abbia
per te. Tu puoi mercare in un la nostra,
e la tua pace. Oscuro un turbin veggio,
che noi minaccia, e che piombar potria
anco sul capo tuo, se me non odi.
Pessima gente or quí si alberga, e molta,
che perder vuolti, e ti calunnia e abborre.
Franchezza e onor invan fra lor tu cerchi:
se ancor v’ha Scotti, il siam pur noi; di Roma,
di rie straniere effeminate fogge
nemici al par, che di stranier sorgente
dispotico potere. Ai buoni farti
vuoi moderato re? tu il puoi pur anco:
farti a’ rei vuoi tiranno? havvi chi ’l brama
piú assai di te. V’ha chi di ferro scettro
ha fatto giá: troppo intrincato è il nodo;
non è da sciorsi, è da tagliarsi. Il cielo
sa perch’io parli; e s’altro io vo’, che pace. —
Opra dunque a tuo senno: io giá non spero,
che il ver creduto mai da un re mi sia.


SCENA SECONDA

Arrigo.

Schietto è forse costui; ma il mio destino

mi trasse a tal, che dell’error la scelta
sola mi avanza. — Or, ch’io ritorno invano,