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atto primo 251



SCENA QUINTA

Maria, Botuello.

Duro a soffrir! so di colei qual sia Maria

l’animo, e l’odio; e ammetter pur mi è forza,
ed onorarne il delatore. Or ella
mi assal con arte nuova. A me consiglia
il ben, perch’io nol faccia. Ella mi chiede
che ai settatori io tolleranza accordi;
brama dunque in suo cor ch’io li persegua.
Dal divorzio mi stoglie; ah! dunque spera
ella affrettarlo. Il so, vorria ch’io errassi
quanto da un re piú puossi errar sul trono.
Coll’arti stesse sue schermir saprommi.
Sue finte brame or compiacendo, io voglio
crucciar piú sempre il suo maligno core.
Bot. Ciò pur ti dissi, il sai, quando degnasti
tua mente aprirmi. Omai da te lontano,
per piú ragioni, Arrigo esser non debbe.
Sia vero o finto il minacciar suo lungo
di uscir del regno tuo, torgliene i mezzi
parmi sen deggia, col vegliar sovr’esso.
Maria Certo in me ricadrebbe una tal fuga.
La patria, il trono, il figlio, la consorte
lasciar, per girne mendicando asilo;
chi fia che il veggia, e me non rea ne stimi?
Favola al mondo io non sarò; pria scelgo
ogni mio danno.
Polif.   E tu ben pensi. Oh! fosse
pur oggi il dí, che piena pace interna
quí risorgesse! Al fin, poich’ei pur cede
alle tue istanze, a cui finor fu sordo,
sperar tu puoi.
Maria   Sí, men lusingo. Al fine,
di sua passata ingratitudin vero,