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238 | lettera dell’abate cesarotti |
Del resto, circa il piú o men buon effetto di questo quint’atto, o sia paragonato in se stesso, o cogli altri, io ne appello a piú d’una rappresentazione, quando si faranno come si debbono e possono eseguire.
DELLO STILE
Quanto alla mancanza, o in tutto o in parte, di queste due qualitá ne’ miei versi di tragedia, poco a dir mi rimane; avendo io tutto ciò che su questo proposito sapeva, ampiamente detto in una risposta al signor Calsabigi, che si può leggere stampata. In essa io assegno le ragioni, per cui ho creduto di dover essere meno fluido, che in un altro genere di poesia; e naturale in una maniera alquanto diversa dalla solita: cioè, avvertendo sempre che parlano (e non cantano) personaggi altissimi; la di cui naturalezza non dee, né può essere triviale mai.
Le ragioni (quali ch’elle siano) in quella risposta da me allegate del mio operare, non sono state finora da nessuno, ch’io sappia, impugnate con altre ragioni. Aggiungerò pure, che non credo stoltamente d’avere alla prima dato interamente nel segno, rispetto a ciò che io aveva ed ho in mente. Moltissime cose vedo in quasi tutti i versi delle mie tragedie, che non mi soddisfanno; o come non chiare abbastanza, o come non eleganti quanto il vorrei; e tutte le muterò, toglierò, o migliorerò, sapendo, nel ristamparle; ma ciò, se cento edizioni ne facessi, in tutte piú o meno mi avverrebbe; perché sempre a chi non si accieca sulle cose proprie, il tempo, la riflessione, e le varie prove sí di leggere che di recitare, lasciano luogo a far meglio. Ma non cambierò però mai la totalitá del mio stile, a segno che quei versi ch’io credo tragici, diventino simili ai versi d’ottave, sonetti, canzoni, o altre liriche, o altre drammatiche composizioni, da cantarsi o cantabili. Di questo ne ho meco medesimo contratto un obbligo espresso, per non tradire, quanto è in me, la maestá e maschia sublimitá della tragedia. Due sole cagioni mi potranno pure disciogliere da un tal obbligo: la prima, se io avrò veduto, a recita ben fatta e con intelligenza (se pur mai si fará), che alla terza e quarta rappresentazione di qualunque di queste tragedie, lo stile continui ad