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note dell’autore che servon di risposta 237


Ecco lo stato delle cose nel punto, in cui Egisto impugna ed adopera poi cosí felicemente la scure sacerdotale. Al vedere quel colpo inaspettato, rinasce subito nei buoni la speranza e l’ardire; nei satelliti del tiranno il terrore. Coloro, che vivo Polifonte nulla ardivano, tutto osano ed imprendono vedendolo estinto; quelli, che tutta la loro baldanza e coraggio fondavano in lui, gran parte ne perdono al cader suo. Rapidamente si spande fuori della reggia, che il tiranno è stato trucidato: vi accorrono in folla i cittadini, e il numero loro deve trionfare dei soldati di Polifonte giá atterriti, e cacciati della reggia da Egisto e dai cittadini che v’erano: e tutto ciò mi par naturale, e non difficile ad eseguirsi.

Che Egisto assistesse a quel rito, e vicino alla madre, e che Polifonte ve lo lasciasse (poiché egli dice poc’anzi di volerlo far suo erede, ove sia provato esser egli figlio di Merope), a me pare tanto verisimile, che non si potrebbe operare altramente da Polifonte senza che i suoi fatti smentissero le sue parole. Egisto non era un personaggio indifferente alla celebrazione di queste nozze; onde non poteva da Polifonte né essere tenuto lontano, né lasciato nella folla; né, molto meno, custodito fra guardie come un malfattore. Si ritrova dunque Egisto e presente e vicino, ma disarmato fra disarmati. Il tiranno non pensò alla scure; e neppure Egisto, che fra se stesso e con Polidoro inutilmente fremeva, ci avea pensato: il veder la scure in alto, pensarvi, afferrarla, ed uccidere, sono un sol punto: dall’istantaneitá di un tal sublime impeto nasce il maraviglioso sí, ma non l’impossibile.

Molto meno bensí a me pare verisimile, ancorché venga narrato e non visto, che in un tempio, in mezzo ad un rito solenne, quell’altro Egisto, creduto tuttavia figlio di un povero servo, convinto uccisore di persona cosí importante come il figlio di Merope, e condannato giá come tale da Polifonte stesso, potesse trovar mezzo di rompere tutta la folla degli spettatori, senza far moltissimo strepito; ch’egli potesse avvicinarsi all’ara inosservato dal re e dalle sue guardie; potesse avventarsi alla scure, che appunto, per non essere levata in alto dal sacerdote, era assai meno afferrabile con quella rapiditá a ciò tanto necessaria; potesse, afferratala, trucidare il re: e molto meno verisimile mi pare, che quel popolo che non era neppure per ombra prevenuto che esistesse ancora questo figlio di Cresfonte, né che quegli il fosse, a un tratto con tanto calore e ardire potesse salvarlo dai soldati del tiranno. Tutti questi possibili mi pajono piú lontani dal vero che i miei.