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note dell’autore che servon di risposta 231


Non sarebbe piú quella Ottavia debole, e irresoluta fin all’ultimo, quale ho voluto dipingerla io; quale doveva essere una tenera donzella, figlia di Messalina e di Claudio, nata e educata mollemente; quale ella se stessa descrive, parlando con Seneca; e quale in somma si mostra in tutta la tragedia. Sarebbe una donna forte, giá impensierita di morire, prima che la necessitá ve la stringesse: e tale non può essere mai la mia Ottavia, senza o sbalzare ella fuori del proprio carattere, o essere intieramente da me concepita diversa.

Ma il dotto critico sa meglio di me, che questo sarebbe un rimedio peggiore del male; e che, dovendo le cose umane non esser mai senza difetto, sono pur sempre piú tollerabili quelli che vengono insieme col primo getto delle cose, che non quelli che nascono dalle rappezzature, le quali tanto pregiudicano all’unitá del tutto. Ci penserò dunque, e piú d’una volta, prima di risolvermi a mutare: ma, volendolo pur fare, non perderò di vista mai il bellissimo effetto che ne risulterebbe in fine dell’atto V, dal mezzo con tanta sagacitá suggeritomi.

TIMOLEONE

Molto bene vien quí osservato, che il Timoleone è una tragedia, in cui non si fa quasi niente; questo è verissimo, e cosí l’ho fatta, perché il soggetto non dá di piú; e il cercare di far nascere degli avvenimenti dove non ci debbono essere, ho sempre giudicato esser cosa altrettanto fastidiosa, quanto facile; da molti però, che il giusto valore delle parole non sanno, ciò viene fastosamente denominato fantasia.

Non credo che possa sussistere l’obiezione che ad Echilo si fa, d’aver lasciati perire i compagni; perché negli estremi casi si scelgono i mali minori. Ad Echilo, che non può fare tre cose a un sol tempo, prima d’ogni altra deve premere di salvare Timo-