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230 lettera dell’abate cesarotti


discolparla interamente presso gli spettatori; e ciò senza avvilirla colle giustificazioni; che anche il solo doverle fare, gran macchia sarebbe alla onestá sua.

Ciò che mi si dice circa lo scioglimento di questa tragedia, in parte mi capacita, ed in parte no. A me stesso poco piace quel modo con cui Ottavia s’impadronisce dell’anello di Seneca; il quale in quel momento, essendo a vicenda uomo e filosofo, vorrebbe e non vorrebbe accordarglielo; onde in quella sua indecisione ogni leggerissima forza lo vince. E perciò ho voluto, che in Ottavia il vedere e il togliere il mortifero anello fosse un sol punto; e ciò effettuerassi meglio in teatro, levando affatto il verso 183, che denota contrasto; e massimamente perché da non buoni attori può esser detto ed eseguito in maniera ridicola. A Seneca dispiace la morte di Ottavia; ma egli in cuore la crede pur troppo inevitabile. Onde sorpreso dalla prontezza, con cui ella ha afferrato il veleno, se ne attrista in parte, perché l’aspetto d’una giovine vaga ed innocente, che sta per darsi la morte, è per se stesso compassionevolissimo; ma in parte quasi ne gode, perché la considera come una vittima involata alle calunnie e crudeltá di Nerone. E siccome fra due persone di cui l’una ondeggi fra due diversi affetti, e l’altra sia, come Ottavia, giá per disperazion fatta secura, questa con facilitá vince l’altra; non ho creduto fuor di natura, che mentre Seneca dubita, Ottavia sorbisca la venefica polvere, senza che Seneca sia in tempo d’impedirnela. Queste sono le ragioni, per cui cosí l’ho praticato; oltre la ragion migliore, ch’io non seppi come altrimenti effettuarlo, serbando verisimiglianza negli intrapresi caratteri.

Ecco, mi si addita un altro mezzo ingegnoso per la catastrofe, e di cui l’effetto teatrale sarebbe molto maggiore. Ci penserò molto, e vedrò in un’altra edizione se io debba fare questo cambiamento. Ma, nell’osservare cosí di volo questo nuovo pensiero, giá mi sono avvisto, che Ottavia, coll’essersi provveduta prima di veleno, non sarebbe piú quella Ottavia timida, e non punto Stoica, da cui io fo dire a Seneca.

Se il vuoi, poss’io per te fuggir di vita;
ma non è forza in me da attender morte.