Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. II, 1946 – BEIC 1727862.djvu/234

228 lettera dell’abate cesarotti



DELLO STILE

Si è parlato della condotta e dei caratteri: resta a dir qualche cosa dello stile. L’energia e la precisione sono le qualitá predilette del nostro autore, ed egli vi si rende in piú d’un luogo ammirabile. Sarebbe a desiderarsi, che a questi pregi singolari egli aggiungesse quello della naturalezza e fluiditá (15). Varj luoghi sono bensí felicemente e naturalmente scritti e verseggiati; il che mostra che potrebbero esserlo tutti: ma comunemente, rare sono quelle scene, in cui non si trovino delle singolaritá che arrestano spiacevolmente; e tanto piú, perché sembrano dovute all’arte ben piú che alla negligenza. Bando pressoché totale agli articoli; inversioni sforzate; ellipsi strane, e sovente oscure; costruzioni pendenti; strutture aspre; alternative d’íati e d’intoppi; riposi mal collocati; ripetizioni di tu, d’io, di quí, troppo frequenti, per dubitare ch’egli non si sia fatto uno studio di questa foggia di scrivere. La frequenza e la gratuitá basterebbero per fare disapprovar questi modi poco naturali; ma il peggio è, che talora fanno un effetto contrario a quello ch’ei si prefigge, e che sembra esigere il sentimento.

Sarebbe facilissimo il togliere questi nei, senza pregiudicar punto all’energia ch’ei tanto vagheggia. Finch’egli non si risolve a questo sacrifizio, l’Italia non gli renderá mai pienamente quella giustizia che gli è dovuta. Ammiratore come io sono del suo genio drammatico, e zelatore appassionato della sua gloria, io non so cessare di confortarlo a condiscendere al desiderio di chiunque lo stima, in questa parte che è la minima del suo lavoro, ma d’effetto massimo. Si compiaccia di farci l’esperienza d’una delle sue scene cosí come sta, e della medesima ritoccata giudiziosamente; e si determini poi su la diversa impressione degli ascoltanti.