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lettera dell’abate cesarotti 227


non teme il furore del popolo? E se può non temerlo allora, come lo teme adesso, che ha piú ragion di disfarsene finché può credersi un impostore? Tanto piú, ch’ei vede che il nome di Cresfonte non fa una sensazione tanto forte quanto avrebbe potuto temere: anzi Merope sul fine rimprovera ai Messenj la loro taciturna freddezza.

Ma veniamo all’ultimo colpo. Polifonte su la semplice promessa di Polidoro, di cui deve diffidare quanto di Merope, suppone che questa si adatti volentieri al matrimonio. Si prepara a celebrar le nozze alla presenza del popolo. Viene Merope, e con lei Egisto. Ella si protesta ritrosa e disperata: Polifonte perde con ciò tutto il frutto della sua ipocrisia. Merope par cedere a stento: Egisto freme e minaccia. Si noti, ch’egli era prima incatenato; e qui comparisce sciolto, non si sa come. Non ha ferro, ma è noto ch’egli inerme uccise l’assalitore armato. Non può egli rapire un pugnale? perché non si osserva? come non è circondato dalle guardie? La scure è in alto fra le mani del sacerdote: come può Egisto tutto a un tratto strappargliela di mano, e squarciar il capo a Polifonte, senza che alcuno possa avvedersene e impedirlo?

Parmi che il Maffei abbia reso il fatto ben piú credibile. Polifonte è in piena sicurezza, egli crede Cresfonte ucciso, ed Egisto l’uccisore. Egisto è libero, e sconosciuto a tutti, fuorché alla madre, e ai di lei familiari. Merope cede al suo destino, e dá la mano al tiranno. Entra Egisto, come per curiositá; si avanza inosservato: chi potea porvi mente? i domestici del tiranno lo credeano l’uccisore del di lui nemico. Si pianta dietro le spalle di Polifonte: afferra la scure, che non è levata in alto, ma giace fra le patére, e scaglia il gran colpo. In tal guisa il fatto è mirabile, senza aver dello strano. Con tutto ciò egli ha creduto meglio di riferirlo che di farlo vedere; e lo stesso fece Voltaire: nel che parmi che abbiano ben fatto a seguire il precetto d’Orazio. Questi fatti straordinarj e sorprendenti portano sempre seco qualche inverosimiglianza nell’esecuzione, che veduta offende, ma narrata non ferisce; prima per l’affetto tumultuoso della narrazione stessa, che ci trasporta, né ci lascia riflettere alle circostanze; poi perché si suppone, che il relatore agitato e confuso ometta qualche particolaritá, che ne toglierebbe l’inverisimile. L’udito può fare illusione allo spirito, ma non la vista (12).