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lettera dell’abate cesarotti | 221 |
È vero, che Ottavia sorella d’Augusto, benché ripudiata da Antonio, non volle uscir della di lui casa, e protestò sempre d’essergli moglie: ma Antonio era un dissoluto, non uno scellerato, né un parricida; egli era valoroso, generoso, ed amabile; Ottavia poteva esserne tuttavia innamorata senza scandalo: oltre che la sua moderazione aveva l’oggetto nobile di non attizzar maggiormente la discordia fra il marito e il fratello.
Il caso della nostra Ottavia è molto diverso. La preferenza data a Poppea non doveva piuttosto eccitar in lei uno sdegno nobile, che una gelosia amorosa? Ottavia poteva rispettar Nerone, non lagnarsi, non pensar a vendette, conservar la memoria d’averlo amato quando egli sembrava diverso, bramar ch’ei si ravveda, anche per poterlo amar di nuovo; ma il continuar d’amarlo dopo tante iniquitá, passa i confini della virtú, e si accosta a una debolezza, che non potendo esser né lodata, né compatita, indispone piú che interessi.
Nulla di piú eccelso della scena del terzo atto, in cui Ottavia si offre d’acchetare il popolo, fingendosi tornata in grazia di Nerone, affine ch’ei possa farla uccider senza periglio.
Insigne è la scena del V atto, ove Ottavia implora il soccorso di Seneca, per liberarsi colla morte delle persecuzioni del suo nemico. Ella mostra una fermezza tranquilla, e bellissime sono le ragioni per indur Seneca a darle l’anello venefico. Seneca forse avrebbe potuto persuadersene; ma vediamo che la sua filosofia non giunge a tanto: egli vorrebbe a tutto costo salvar Ottavia. Come dunque è verisimile, che si lasci rapire l’anello? Sia sorpresa, sia forza, il fatto non par naturale (2). Parmi inoltre, che la morte d’Ottavia non faccia tutto l’effetto che avrebbe potuto aspettarsene. Seneca la sa, e Nerone la sente, ma non la vede. Non so s’io m’inganni, ma tutto questo pezzo della morte poteva fare assai maggior colpo se si fosse, per esempio, condotto nel modo seguente.
Ottavia poteva precedentemente su le massime di Seneca essersi provveduta d’un veleno in un anello, fin da quando fu rilegata in Campania. Le si annunzia l’accusa d’Anicéto. Ella si risolve al suo fine. Parla con Seneca in generale sul disprezzo della vita, sul vantaggio della morte, senza però palesare il suo disegno. Il filosofo, senza prevederlo, ve la conferma. Vien Nerone, Tigellino, e Poppea; la consigliano a confessar la sua colpa, colla speranza d’un semplice esiglio; minacciandola, in altro caso, di morte