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atto secondo 15
so, che assai manca all’esser mio felice.

Desio sta in me, che di mia vita è base
sola; e piú ferve in me, quanto piú trova
ostacoli. — Deh! dunque apriti meco,
perch’io ti giovi un poco, or che puoi tanto,
gli altrui dritti servendo, in un giovarmi.
Ildov. Favellerò, poiché tu il vuoi. — Non bramo
impero, no; mal tu il daresti; e doni
son questi ognor di pentimento e sangue.
Ma, poi che aprirmi il tuo piú interno core
ti appresti, il mio dischiuderti non niego.
Ciò ch’io sol bramo, or nulla a te torrebbe,
e vita fora a me.
Almac.   Nomalo; è tuo.
Ildov. ... Amante io vivo, è giá gran tempo: opporsi
sol può Rosmunda all’amor mio; tu puoi
solo da ciò distorla.
Almac.   Ed è tua fiamma?...
Ildov. Romilda ell’è...
Almac.   Che sento!... Ami Romilda?
Ildov. Sí... Ma stupor donde in te tanto?...
Almac.   Ignoto
m’era appieno il tuo amore.
Ildov.   Or ch’io tel dico,
perché turbarti? Incerto...
Almac.   Io?... Deh! perdona...
stupor non è... — Romilda! E da gran tempo
tu l’ami?
Ildov.   E che? forse il mio amor ti spiace?
Sconviensi forse a me? S’ella è di stirpe
regia, vil non son io. Figlia è Rosmunda
di re pur ella, e non sdegnò di sposa
dar mano a te mio uguale.
Almac.   E qual fia troppo
alta cosa per te?... Ma, il sai;... Rosmunda
di Romilda dispone;... ed io...