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14 rosmunda
vile ti parvi io mai. Macchiata poscia

ho la mia fama: or sappi; in core io stesso
piú infame assai ch’altri mi tien, m’estimo.
Ma non assonno io giá sul sanguinoso
trono; ed in parte la terribil taccia
di traditor (mai non si perde intera)
togliermi spero.
Ildov.   Io ti credea dal nome
di re piú assai corrotto il cor: ma sano,
pure non l’hai. Sentir rimorsi, e starsi...
Almac. E starmi omai vogl’io? Giá giá...
Ildov.   Ma, questo
trono, tu il sai...
Almac.   So che ad altrui s’aspetta;
che mio non è...
Ildov.   Dunque...
Almac.   Deh! m’odi. Io posso
me far del trono oggi assai meno indegno.
Odimi; e poscia, se tu il puoi, mi niega
di secondarmi... Ma, il desir mio cieco
dove or mi tragge? A’ tuoi servigi io dianzi
guiderdon non trovava, ed or giá ardisco
chiederne a te de’ nuovi?
Ildov.   Ah! sí: favella.
Mercede ampia mi dai, se tal mi tieni
da non cercarne alle magnanim’opre.
Che poss’io far? Favella.
Almac.   Ad altro patto
non sperar ch’io tel dica, ove tu pria,
se cosa è al mondo che bear ti possa,
chiesta non l’abbi a me. Se vuoi gran parte
del regno; (intero il merti) o s’altro pure
desio piú dolce, e ambizioso meno,
ti punge il cor, nol mi celare: anch’io
so che ogni ben posto non è nel trono:
so, ch’altro v’ha, che mi faria piú lieto;