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182 merope
l’alma a pietá, che un dubbio orribil tosto

a furor mi sospinge: appena io lascio
tacer pietade, ecco, s’io ’l miro, o l’odo,
a lagrimar son risospinta.
Egisto   In core
quale hai battaglia? Infra te stessa parli?
Pietá ti fo? che non l’ascolti?
Mer.   Ahi lassa!
che mai farò? — Né condannar ti posso,
giovinetto, né assolverti. Rimani
entro la reggia intanto: io vo’ fra poco
rivederti. Ben pensa; in te ripensa
ogni piú picciol caso di tua vita:
e in un rimembra ogni atto, e motto, e segno
dell’ucciso. Tornarti anco in pensiero
dei del tuo padre ogni piú lieve detto.
Ma, sei tu certo che il buon vecchio il nome
mai non cangiasse? di’.
Egisto   Certo ne sono.
Io, balbettando, a dir Cefiso appresi. —
Quando ei poi mi dicea, che di Messene
fuggito s’era, e m’imponea ch’a ogni uomo
il tacessi, del nome anco mi avria
detto il ver, se ciò fosse: era ei ben certo,
ch’io ’l tacerei pur di mia vita a costo.
Ch’egli è Messenio a te svelai; ma nulla
poteva io mai nasconderti?
Mer.   Deh! basta;
cessa per ora. — Alle mie stanze è forza
ch’io mi ritragga a sfogar lungamente
il rattenuto pianto. — A te la reggia
sola assegno per carcere. Di nuovo
udrotti or ora; e il tutto ridirai:
a parte a parte, a tutto appieno, e a lungo,
risponderai: ch’io veritier ti trovi...
Ma, tu non hai di mentitor l’aspetto.