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atto secondo 181
la madre sua.

Mer.   La madre? E tu fellone,
perfido, e tu pur l’uccidevi? e il corpo
ne scagliavi nell’onda? Oimè!... Perduto...
Egisto Me misero! che feci? Il mio delitto
te in alcun modo offende? — Or, tu n’avesti
balía dal re, di me disponi; e n’abbi
alta vendetta. — Oh ciel! come potea
offender io te, Merope, cui sempre
nel mio cor venerai? — Sapea dal padre
le tue dure vicende: al pianger suo
piansi piú volte anch’io: la brama ardente
di pur vederti anco pungeami. Spesso
col padre antico io porsi per te voti
al ciel; con man, ch’era innocente allora,
spesso per te fiamma di puro incenso
arsi davanti ai piccioli miei Lari. —
Ed io ti offesi? Ah! mi punisci: il merto,
il chieggo, il vo’. — Ma, come mai spettarti
potea colui, che a truce aspetto univa
cor malnato?... Ma forse, ei tal non era:
necessitá ’l fea tristo... Oimè! che dissi?
Se tu il compiangi, egli è innocente; il tristo
io solo il son; deh! fanne in me vendetta.
Mer. — Ma, qual parlar! qual piangere!... Che fia?
Mal mio grado ei mi tragge a pianger seco. —
Di me il tuo padre ti parlava?
Egisto   Oh quante
volte di te, del tuo trafitto sposo,
de’ figli tuoi narrommi!
Mer.   Oh ciel! de’ figli?...
Egisto Sí; dei tre figli tuoi, svenati tutti
da rio tiranno, il cui feroce aspetto
fremer mi fea quí dianzi. Assai piú grato
m’è in te il rigor, qual sia, che in lui pietade.
Mer. — Piú non reggo al suo dire. Inchino appena