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atto primo 169
padre non fosti mai: tutto tiranno

tu sei; né vedi altro che regno. I figli,
e il mio consorte oltre ogni trono amai;...
e abborro te...
Polif.   Deh! Merope, mi ascolta. —
Sceglier compagna al mio destino io debbo.
Queta ogni cosa, omai Messenia tutta
mi obbedisce: ma so, che in cor di molti
viva memoria è di Cresfonte: il volgo
sempre il signor, che piú non ha, vorria.
Forse anco giusto, mansueto, umano
nel breve regno ei si mostrò...
Mer.   Tal era:
non s’infinse ei, com’altri.
Polif.   Ed io, vo’ teco
scendere all’arte forse? e, ciò che mai
non crederesti, irti or dicendo, ch’io
per te d’amor mi strugga? — Odimi. Spero
or col mio dire esserti grato io quanto
uom, che a te costa sí gran pianto, il possa. —
Cessò il periglio, e le crudeli voglie
cessar con esso: ecco il mio stato. Il tuo,
è mesta vita, inutil pianto, oscura
sorte: gli amici, se pur n’hai, si stanno
lungi, o il terror quí muti appien li tiene.
Tutto è per te quí forza; a ciò, piú ch’altri,
mi hai tu costretto: ma d’un sol tuo motto
tutto cangiar tu puoi. Parriami oltraggio
inutil, crudo, e, s’anco il vuoi, fatale
a me, l’offrire ad altra donna il trono
di Messene, giá tuo. Questa è la sola
non vile ammenda, che al fallir mio resti.
Finor buon duce infra continue guerre
videmi il campo; e dei Messenj il nome,
per me, terror suona ai nimici: a grado
mi fora or molto alla cittá mostrarmi