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atto primo 167
in raddolcir tua sorte io non m’adopro?

Qual si può far d’error guerriero ammenda,
ch’io tutto dí teco non faccia?
Mer.   Or, vuoi
ch’io grazie a te renda pur anco espresse,
del non m’aver tu tolto altro che il regno,
e il mio consorte, e i figli?...
Polif.   I figli? In vita
uno ten resta...
Mer.   Ella è menzogna. Oh fosse
pur ver cosí!... Tutto perdei: trafitto
io ’l vidi pur quell’innocente... Ahi crudo!
Godi tu forse il lagrimevol caso
udir membrar da me? L’orrenda notte,
che i satelliti tuoi scorreano in armi
per questa reggia ove tutto era sangue,
e grida, e fiamme, e minacciar; col padre
i figli tutti, e i piú valenti amici,
tutti sossopra non andaro a un tempo?
Barbaro; e tu, sol per pigliarmi a scherno,
il pargoletto mio fanciul, che spento
pria col pugnal fu con tanti altri, e preda
poscia alle fiamme andonne, in vita salvo
da me il dicesti? Oh cor feroce! duolti
di non avere i tuoi spietati sguardi
pasciuti pur del lagrimoso aspetto
del picciol corpo esangue? Assai ben gli altri
cogli occhi tuoi vedesti; con l’iniqua
tua man palpasti... Ahi scellerato!...
Polif.   Donna,
s’io ’l credo in vita, è che il vorrei. Quel primo
bollor, che seco la vittoria tragge,
queto era appena, in cor m’increbber molto
quegli uccisi fanciulli; ai quali io, privo
di consorte e di prole, avrei col tempo,
non men che re, potuto anch’esser padre.