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10 rosmunda
l’orme non volli; uso a veder la fronte

de’ nemici son io: ma d’Ildovaldo
l’alto coraggio avrá compiuta appieno
la lor sconfitta. In lui mi affido; ei svelta
fin da radice ha in questo di tal guerra.
Rosm. Duolmi, che lente d’Alarico l’armi
non ebber parte alla vittoria: intera
mia fe pur sono io di serbargli astretta:
a noi giovare altra fiata ei puote;
e, quel ch’è peggio, ei ci può nuocer sempre.
Dargli vuolsi Romilda: a lei ne fea
io giá l’annunzio. — Il crederesti? ell’osa
niegar sua mano ad Alarico.
Almac.   Oh! tanto
sperar io?... Tanto ella sperare ardisce?...
Rosm. Sí. — Ma indarno ella il niega: al sol novello
le intimai la partita. Il trono pria
io perder vo’, che mai tradir mia fede.
Almac. Ma pur,... pietá della infelice figlia...
Rosm. Pietá?... di lei?... figlia di chi? — Che ascolto?...
Dell’uccisor del padre mio la figlia
altro esser mai, fuorché infelice, debbe?
Almac. A me non par, che la vittoria lieta
da intorbidarsi or sia con víolenti
comandi. Ella è, Romilda, unico sangue
del Longobardo re: mal fermi ancora
sul trono stiamo: in cor ciascun quí serba
memoria ancor delle virtú guerriere,
della possanza rapida crescente
d’Alboín suo legittimo signore.
Dietro ai vittoríosi alti suoi passi,
d’Italia, quanto il Po ne irríga, e quanto
l’Appennin, l’Alpe, e d’Adria il mar ne serra,
tutto han predato, e posto in ceppi, od arso.
Gran carco a noi, grand’odio, e rei perigli
l’uccision di sí gran re ne lascia.